Lucia Coppola - attività politica e istituzionale | ||||||||
Legislatura provinciale
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Comune di Trento
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Trento, 3 dicembre 2009 Non so perché, da qualche anno a questa parte, il Trentino ed i suoi rappresentanti istituzionali in tema di istruzione si sentano in dovere ad ogni cambio di governo, con conseguente riforma della scuola, di diventare più realisti del re. Così è accaduto ai tempi della Riforma Moratti e del Protocollo d’Intesa firmato dal presidente - assessore Dellai, che l’ha anticipata a differenza di altre province e regioni; così succede oggi, dal momento che la Riforma Gelmini, già abbastanza tragica per la scuola italiana, rischia di diventarlo ancora di più se letta e declinata in chiave trentina dall’assessore all’istruzione Marta Dalmaso. Alla base di queste ultime “riforme”, infatti, vi è “il cambiamento a ogni costo”. O meglio, il risparmio di risorse e professionalità col pretesto del cambiamento. Mi piacerebbe davvero sapere se le soluzioni prospettate, in particolare per la scuola superiore, licei, scuole professionali, istituti tecnici, siano davvero condivise nel merito dal questo governo provinciale, di centro - sinistra, peraltro. Mi unisco perciò alle voci di quanti, in questi giorni, insegnanti, studenti, genitori, intellettuali, hanno preso posizione argomentando e ponendo legittimi dubbi ed elementi di riflessione sui quali l’assessore Dalmaso e la Giunta farebbero bene a riflettere. Uno dei punti fondanti delle critiche emerse è la mancanza di coinvolgimento di utenti e insegnanti (e non è una novità nel panorama trentino). In realtà spesso si scorda, nei Palazzi, che il Trentino ha insegnanti con una riconosciuta professionalità e con una provata coscienza civile e sociale, maturate in anni di formazione e di lavoro educativo. Dal canto loro, gli studenti e, per concerto, le loro famiglie, non sono certo degli sprovveduti e sono perfettamente in grado di leggere i bisogni, le difficoltà, le punte di eccellenza, che non mancano, in un quadro sempre in movimento come è quello legato ai giovani, ai bambini e ai ragazzi: in continua e veloce evoluzione. La cosa che stride di più in questa riforma è questo non richiesto bisogno di omologazione, al ribasso, oltre tutto, che toglie specificità e identità a scuole, come i licei, riconosciute a livello internazionale come formative di un livello culturale alto, in grado di sostenere i nostri ragazzi di fronte alle sfide legate a un’istruzione certa e non vaga, alla capacità critica e di ragionamento autonomo, all’approfondimento, al metodo di studio, alla comunicazione in tutte le sue forme. E che cosa si fa allora? Si ridimensionano le ore di latino e greco, al classico come allo scientifico, nel caso del latino. Lingue universalmente riconosciute come fondanti di un cultura che non è solo umanistica, che ha a che fare con la logica e la costruzione di un pensiero ricco e articolato. Si elimina la storia dell’arte dal biennio dello scientifico, mostrando una considerazione pressoché inesistente della necessità di formare giovani dotati di un gusto estetico formato sulla conoscenza, in grado di apprezzare e comparare ciò che, nella storia dell’umanità, ha rappresentato il bello, la levità, la grazia che hanno permesso agli esseri umani di smarcarsi dal peso dell’esistenza. Si toglie il disegno geometrico dal biennio dello scientifico, materia importante per acquisire abilità spendibili in facoltà e professioni spesso scelte dai ragazzi che frequentano questa scuola. In un mondo fortemente globalizzato, nel quale la geo-politica determina equilibri, instabilità, la vita di esseri umani lontani da noi ma anche la nostra, si elimina la geografia, giudicata evidentemente inutile. Bene, di questo mondo i nostri ragazzi non conosceranno nemmeno i nomi degli stati sul mappamondo, oltre a non sapere nulla di quello che vi accade, dell’antropologia, delle culture, del valore della diversità e della bio - diversità. Intanto si discute in Parlamento se ammettere al Festival di Sanremo le canzoni in dialetto. E tutto ciò è davvero disperante, anche perché le lingue straniere, passaporto per questo mondo sconosciuto, non se la passano meglio, dal momento che scompaiono dagli ultimi tre anni della scuola superiore, restando solo nel liceo linguistico e in un indirizzo del liceo delle Scienze Umane. Mentre ci si riempie la bocca di Euregio, di Europa, di Mondo. Dire che sono perplessa è dir poco, sono allibita, arrabbiata, delusa. L’altra perla di saggezza di questa riforma è l’intervento a gamba tesa sulle scuole professionali, da sempre considerate fiore all’occhiello del sistema formativo trentino: capaci com’erano ( e sono) di essere un’efficace alternativa alla scuola superiore comunemente intesa, a volte inadatta a tipologie di ragazzi più attirati dal mondo del lavoro, da una professionalità velocemente acquisita. Per tanti motivi: scarsa predisposizione allo studio, situazioni familiari, interessi diversi. Che in qualche modo legittimavano un corso di studi più breve (scompare nella riforma la triennalità), ma comunque dignitoso, specificamente riferito all’artigianato, alla qualificazione di personale che sceglie il lavoro manuale, nelle sue tante accezioni, e non lo considera svilente della dignità della persona. Anzi, utile e necessario, com’è, soprattutto se svolto con le giuste conoscenze. Queste scuole fornivano anche una cultura generale che con semplicità poteva comunque svolgere il ruolo di interessare i ragazzi e le ragazze alle differenti discipline affrontate. Sovente consentendo loro approfondimenti anche individuali. Alla ricerca della propria strada nel mondo. Ma la cosa che più mi scandalizza, in questa falsa e demagogica idea di democrazia, è il pensare che questa indifferenziazione, chiamata “ri - orientamento”, che consente i passaggi da una scuola all’altra (da qui l’idea di biennio uguale, o quasi, per tutti), sia la panacea per tutti i mali. I ragazzi hanno anche bisogno di misurarsi con le difficoltà e di capire che ciascuna scuola ha una sua specificità, una storia, degli obiettivi formativi. Anche se io sono da sempre d’accordo con la possibilità di garantire le “passerelle” (un’altra, doverosa chance), so per certo che si passa, solitamente, da una scuola più complessa ad una meno difficoltosa. Da cui si deduce che i ragazzi ne risultano comunque avvantaggiati. Molto difficilmente succede il contrario, perché il ri- orientamento avviene solitamente per quelli tra loro che hanno qualche problema: di apprendimento, di inserimento, di inadeguatezza. E allora a che pro svilire i licei, gli istituti tecnici? Tutta l’operazione sa di ragionamenti a tavolino, forse non fatti in mala fede, ma sicuramente con approssimazione e superficialità. In mezzo ci sono i nostri ragazzi che hanno diritto di avere il meglio da ogni tipologia di scuola, ci sono famiglie che investono sui propri figli, che fanno sacrifici e chiedono giustamente alla scuola qualità e decoro. Ci sono tanti insegnanti motivati, preparati, che hanno studiato e approfondito le discipline di riferimento e si vedono scappare tra le dita, oltre al lavoro, i loro saperi, non più utili, non più necessari. Spero che la grande mobilitazione, sincera e condotta con la forza dei contenuti, assolutamente non pretestuosa e fortemente sentita, serva a far ritirare questa delibera e a ripensare, insieme alle parti coinvolte, sindacati inclusi, un modello di scuola forte, colto, includente, differenziato e plurale. Lucia Coppola
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LUCIA COPPOLA |
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